Sviluppo della critica del paradigma marginalista rappresentato da Samuelson***
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La tabella e la curva delle domande
Cominciamo con la curva delle domande presentata secondo il metodo standard offerto da Samuelson. La procedura, in se totalmente fallace come lo dimostreremo, sembra pero rilevare dal senso comune. In effetti questo costituisce la sua forza come pure la sua fatale debolezza; sappiamo sin da Emmanuel Kant, se non da Pitagora o Montaigne ed alcuni altri prima di lui, che se le apparenze costituivano la realtà, la scienza sarebbe al meglio una forma primaria della saggezza popolare, un poco all'immagine dei proverbi di Herder.
Quale è questa procedura? Vale per tutte le curve, tanto quella dell'offerta quanto quella della domanda, o per ambedue al stesso tempo quando il loro punto di intercettazione pretende darci il prezzo di equilibrio del “mercato”. Per prima vengono fornite (in modo empirico secondo l'“empirismo baconiano” denunciato da Koyré) una tabella cifrata, la quale permette di disegnare una curva secondo il metodo diagrammatico proposto da Alfred Marshall; questo metodo visuale fece un malore tra queste menti semplici, ma settarie ed ideologiche come mai. Sin d'allora, nella sua forma visuale o algebrica (Walras), questo passa per una scienza.
Ecco quello che ne viene prodotto dal Premio Nobel Samuelson (uno che prende molto in prestito dalla sintesi detta “bastarda” proposta da Hicks.)
La tabella delle domande è presentata alla pagine 87 del suo manuale scolastico.
Ora Samuelson può disegnare la sua curva delle domande (p 88)
Vediamo le cose in dettaglio.
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La Scuola austriaca di Böhm-Bawerk, Menger e von Mises (ed alcuni altri più tardivi come Joseph Schumpeter), gente che non ha mai capito la differenza tra “valore di scambio” e “valore di uso”, ha epilogato a lungo sul concetto di utilità. Mentre un Georg Simmel si concentrava sulla sua teoria psicologica della moneta (uno deve pur trovare modo di occuparsi, non è vero?) questi, presi da una più antica gravitas universitaria, discorrevano del “calcolo delle gioie e delle pene” presunto governare la domanda e l'utilità economica. Con l'aiuto grafico di Marshall e quello teorico riduttore di Hicks, Samuelson fu dunque capace di cucinare la sua curva “ipotetica” delle domande, riconosciuta da lui come ipotetica ma non di meno sicura delle sue pretensioni, scientifiche più che euristiche!!!! Per il comune dei mortali rimane sempre chiaro (almeno quando conservano un vago ricordo della psicologia infantile) che ognuno di noi è sempre formalmente autorizzato a chiedere tutto quello che vuole, andando anche al “mercato” (topologicamente definito o meno) con specifico questo scopo, senza pero avere nessuna garanzia che quello che si domanda sia o possa essere offerto. Parafrasando Malebranche sopra il cuore e la ragione, nei regimi di proprietà privata l'offerta ha le sue leggi le quali non dipendono principalmente della domanda. Similmente l'andamento del mondo non dipende del solipsismo borghese annunciatore premuroso della “fine delle ideologie”, come pure la spiritualità realizzata non dipende delle asinate “deliranti dei rabbini” (secondo la frase di Spinoza), sempre preoccupati di falsificare tutto. (Estendendo Spinoza con le conoscenze moderne, basta solo paragonate il Vecchio testamento con L'Epopea di Gilgamesh, la Legenda di Sargone ed il Codice di Ammurabi per avere una introduzione a questo tipo di commercio.) Tra questi fattori restrittivi si contano le patenti (forma della proprietà privata), la necessaria taylorizzazione (divisione del lavoro interna secondo la logica della pin factory), i marchi e modelli esistenti ma ancora da sfruttare, le spese di ricerca e le possibilità tecniche (queste ultime, adattate alla redditività dei mercati, possono includere la soppressione di tecnologie più efficace ma pericolose per le posizioni già acquisite delle grandi aziende e del loro vasto indotto, come spiegarono Barnett e Müller in Global Reach già negli anni Settanta, ecc, ecc, ...) A contrario, i prodotti elettronici vengono venduti al dettaglio nella forma di molteplici gadget ridondanti, PC, notebook, e-book ecc, ecc, che potrebbero benissimo essere fusi in uno o a massimo due prodotti capaci di esibire prezzi al ribasso a misura che procederebbe la loro generalizzazione ed il loro sviluppo. Diciamo più generalmente che numerosi mercati vengono artificialmente creati mentre una parte vitale della domanda delle classe laboriose non è o rimane mal servita.
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La domanda anche individuale non è un aspetto della psicologia, ma al meglio una psicologia subalterna indotta dal salario e dal reddito. Dunque, in definitiva, dalla “domanda sociale” già enunciata da Marx come critica della concorrenza capitalista sin dai Manoscritti parigini del 1844 (vedi www.marxists.org ) L'elasticità e il marketing, come pure le altre pagliacciate del genere, non cambiano niente sul fondo; cambia un può la forma (i.e. la struttura dei sotto-settori nel quadro della Riproduzione) per quello che concerna l'elasticità e la possibilità di immaginare dei sostituti.
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Nessuna aziende al mondo si rischierebbe ad applicare il marginalismo. Le imprese reali conducono invece dei “studi di marcato” molto dettagliati. Questi sono più informati dalla sociologia nonché dalla psicologia dell'utilità dei marginalisti, i quali confondono sempre senza riparo valore di scambio e valore di uso delle merci, in particolare per quello che riguarda la forza di lavoro considerata come una merce uguale a tutte le altre dal punto di vista del valore di scambio (ma ben inteso non dal punto di vista del valore di uso, perché altrimenti il sovralavoro ed il profitto non sarebbero scientificamente afferrabili, sopprimendo così ogni base scientifica alla scienza economica.) Solo questa confusione tra le due forme del valore messe in salsa psicologica primitiva (se si vuole behaviorista) permette di enunciare il principio d'utilità marginale (concetto fra l'altro già ridotto a pezzetti da Marx nel capitolo del Capitale Libro I relativo alla “ultima ora di Senior”, almeno dal lato della produzione ...) Le aziende pagano dei gabinetti di studio per fornirle dei studi di mercato relativi a prodotti o nicchie specifici, il che gli permette in seguito di pianificare e di aggiustare la o le loro offerte, in chiaro le condizioni meno fluide che caratterizzano la sfera di produzione. Senza dubbio, queste nicchie dipendono delle classe di reddito. A tal punto che Veblen ne tira una sofisticata teoria della gestione delle mediazioni borghesi e piccolo-borghesi necessarie alla perpetrazione del sistema, mediante il suo adattamento permanente come viene rivelato dal Principe di Lampedusa nel suo capo-lavoro Il Gattopardo. Altre variabili entrano in linea di conto, come l'età o l'educazione, ma queste ultime servano solo a colorare l'influenza sovra-determinante delle tranche di reddito. Verifichiamo cose identiche nei studi attuariali delle assicurazioni e dei regimi di pensione. Queste aziende non avevano certo bisogno di un Veblen per capire che questi studi di mercato non servano tanto a rispondere alla domanda realmente espressa o esprimibile dei cittadini, servano piuttosto a plasmarla secondo le loro esigenze commerciali e ideologiche specifiche. L'ottimizzazione del profitto si inscrive in questo quadro preciso. Ad esempio, il marketing e la pubblicità delle grandi aziende americane e occidentali dopo il 1946, in particolare quelle specializzate nel consumo di massa, non si capirebbero in astrazione di questo fatto, come testimonia Coca-Cola quando cercava ad adescare i giovani adolescenti del baby-boom.
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Le tabelle (e dunque le curve) di domanda marginalista sono solo dei volgari e fallaci aggregati di preferenze individuali (inserire qui la Note & la mail on marginal utility for dollar a real joke.) The "rational choice" o scelta razionale non cambia niente a tutto questo se non aggravando il vizio iniziale. Per contro, l'aggregato delle tabelle e delle curve emanato dai studi di tranche di reddito permettono almeno di avvicinare empiricamente la “domanda sociale”, almeno in tempo normale (detto in deferenza alle “condizioni iniziali” di Lorenz.) Questi studi esprimono allora i dati empirici presi sul medio e lungo termine, in realtà la prima vera correzione ad effettuare quando si è confrontato alla sabbia movente ed ai miraggi della concorrenza capitalista, ambedue prodotti del suo mondo alla rovescia come dimostrò Marx sin dalla redazione dei suoi Manoscritti parigini del 1844. Comunque nessuna scuola di marginalismo si mostra capace di fare la differenza, infermità che non deve stupire: fare tale differenza confuterebbe il paradigma prima del suo decollo nel etero ideologico del senso comune borghese ... i.e. se il gioco della concorrenza si annulla nel medio e lungo termine allora, come lo affermava l'economia politica classica assieme alla sua critica marxista, la scienza economica dovrebbe necessariamente darsi altre basi razionali sopra le quali tentare di fondare la sua apprensione del mondo.
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L'utilità marginale non vale proprio niente, particolarmente in astrazione della referenza alle tranche di reddito. Intanto il peccato generico risiede nell'incapacità a distinguere tra valore di scambio e valore di uso che ricopre l'incapacità di capire la genesi del profitto. Determinare la domanda (o l'offerta) secondo il valore dell'ultima unità domandata o offerta rinvia a questa confusione sopra la quale si inserta naturalmente la pseudo-logica delle economie di scala, se stesse partorite da un'incomprensione della realtà che a suo turno riposa sopra la confusione più ricardiana che smithiana della pseudo-teoria della rendita: In effetti, se la “scarsità” era realmente analizzata come prodotto sociale invece di esserla come un dato naturale più o meno costante (rimarca capitale di Walras il quale pero, sentendo il pericolo, la evacua immediatamente in una nota a piè di pagina nella prima edizione dei suoi Eléments ...), tutto questo ragionamento crollerebbe; in particolare diventerebbe di nuovo imperativo distinguere tra valore di scambio e valore di uso delle merci ... senza le desolanti puerilità di seconda mano di Samuelson sopra i diamanti. (Nel mio Libro III ho ugualmente notato come, in una società capitalista, il valore delle opera d'arte, delle bottiglie di vino millesimate ecc., ecc, rimane perfettamente coerente con la legge del valore marxista tenendo conto del credito, della differenza tra profitto e interesse e dunque della logica del investimento; non vi è proprio qui niente da stupirsi, né alla luce del sole né nella penombra ...) La funzione di produzione non potrebbe scriversi senza referenza alle sue condizioni strutturali senza dare luogo all'imbarazzante parabola di Samuelson relativa al prezzo di vendita ottenuto prima della vendita dell'ultima unità, una pagliacciata che lontano da dovere farci morire di rizzate, concerna in realtà il fondo aleatorio o strutturale del problema, cioè il modo o la possibilità intrinsechi di scrivere la funzione di produzione (sopra questa prodezza di Premio Nobel riportarci per la domanda al “paradosso del valore” t II, pp 442-444 e per l'offerta alla pagina ...) Piero Sraffa affronterà questo problema nel suo corto articolo del 1926 nel quale analizza l'utilità marginale decrescente o crescente senza pero potere concludere in modo definitivo, dato che rimaneva prigioniero del quadro della funzione di produzione classica troncata, incapace dunque di spiegare il profitto. Di fatti, una questione più grave ancora concerna giustamente la genesi del profitto. Non esistiamo a sottolineare che nel suo magnum opus**** Adam Smith diceva che i capitalisti già pagati come managers ecc, “amano raccogliere là dove non hanno mai seminato” (p 47 ed. Sutherland, 1993) Smith, rischiando un abbozzo della teoria del rischio (per chi investe) si ricorda di Pascal e paragona il gioco ad una lotteria, la quale sarebbe perfetta se i vincitori raccogliessero tutte le poste messe in gioco dai perdenti ( p 102); ma aggiunge immediatamente che tali giochi assomigliano alla prostituzione (p 103), l'ideale essendo il rispetto del diritto naturale dei filosofi (p 392), cioè il rispetto della più perfetta giustizia, della più perfetta libertà e della più perfetta uguaglianza (p 286), rispetto solo capace di assicurare la più grande prosperità delle tre classe in presenza – e per estensione delle loro tre forme di reddito: salario, profitto e rendita fondiaria. I piedi fermamente ancorati sulla terra ferma , notiamo questa inutilità fatale del marginalismo, caratteristica idonea a renderlo non-operazionale, è dimostrata empiricamente dalla confezione statistica del “paniere di base” senza il quale i Ministeri delle Finanze, benché oggi sottomessi al Tesoro globalmente reaganizzato, non potrebbero compiere le loro funzioni. Questo vale pure per le banche centrali che sarebbero più sprovviste ancora di oggi giorno – il che non significa poco – per tentare di intendere e di gestire l'inflazione (operazione compiuta solo strangolando M1, nell'assenza di ratio prudenziali e di controllo o, peggio ancora, dell'assenza di fiscalità gravando specificamente sopra M2 ed in particolare M3.) Come abbiamo già visto, dissociando in modo così pericoloso il credo e la pratica, la dimostrazione empirica si impone ugualmente dalla necessità di compiere studi sociologici di mercato in modo di vederci più chiaro. Ma questo assomiglia ancora troppo alla buona volontà del ubriacone che cerca di notte la sua moneta perduta unicamente sotto il lampadario. Ma allora, siamo in grado di chiedere legittimamente, a che diavolo servano gli economisti borghesi?
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Se le tabelle e le curve marginalisti non servono a niente dato che sono ontologicamente fallaci, la loro unica utilità ideologica risiede nella possibilità di fare sognare ad un mirabile punto di equilibrio (di mercato!!!), punto mirabile ma purtroppo totalmente inutilizzabile perché senza relazione con i studi di mercato in quanto tali. Il carattere di predizione è dunque inesistente (zero) mentre la descrizione sociologica rappresenta già un primo livello di epurazione metodologico empirico della realtà (vedi la critica di Althusser al positivismo di Popper et ali. , una critica molto curata che va ben aldilà della bella rimarca di Koyré contro l'empirismo baconiano, appunto perché utilizza una griglia di analisi marxista che va dalla semplice descrizione al “concreto pensato” (“concret pensé”) di Marx.) Ergo: la sociologia e la storia economiche sono di gran lunga superiori in teoria ed in pratica alla pretenziosa insalata dottrinaria marginalista. In ogni caso, queste discipline possono tentare di dire quanto pesa ogni curva per l'economia reale (compresso quando quest'ultima viene espressa nei termini fallaci del PIL, una contabilità fraudolente che riposa sopra le stesse categorie marginaliste.) Di fatto, senza questi dati, né i ministeri delle finanze né alcuno altro ministero (o CEO o CFO, per il privato) potrebbero funzionare. Né ovviamente nessuna impresa privata, familiare o nazionale o multinazionale che sia.
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Sraffa si ricorda di Smith per la divisione del lavoro, una logica tanto interna quanto esterna alle aziende e industrie. L'aggregazione delle curve (individuali) in una sola curva occulta il peso di ogni domanda reale (i.e strutturale) che forma la “domanda sociale”. (Sraffa appunto sottolineerà la rimarca di Marshall all'effetto che il “grano” di Ricardo ("corn” in inglese) va in realtà inteso come l'insieme dei prodotti agricoli non-industriali). In oltre, questa mistura aggregata mescola tutte le variabili come il tempo di lavoro, la porosità, la produttività, la sovrappiù sociale ed il salario che ne dipende. I marginalisti sono dunque realmente degli asini col basto, del tipo di quelli che addizionano allegramente le mele, le arrangia e le banane, sempre con molto sufficienza, inorgogliti che sono della loro propria ed auto certificata superiorità scientifica. La tipica sovra-rappresentanza sociologica nel mucchio di Premi Nobel incestuosamente auto-conferiti è, da questo punto di vista, molto rivelatrice e utile per il ristabilimento delle prerogative scientifiche nel avvenire. Come insegna una storia ancora balbettante in questo ramo, un uomo avvertito ne vale due ... Aggiungiamo a questa lacuna il miraggio speculativo inerente al trattamento del credito nelle statistiche borghese, in particolare nella contabilità “nazionale” che porta al PIL, e avrete la ricette per un fallimento assicurato (vedete l'Unione Sovietica distrutta in meno di 7 anni, l'Italia sin dal 1992 ed i Stati Uniti sin dall'elezione settaria del presidente Reagan ma ancora più particolarmente sin dall'elezione di G.W. Bush, un presidente circondato da ancora più extra-ordinarie clique di neocon filosemiti nietzschiani, partiti tamburi battenti per la gloria e per crociate tanto criminali quanto “preventive”.
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Abbiamo già notato che la maggioranza delle curve di domanda sono sovra-determinate dalle tranche di reddito. Il più spesso si tratta di un reddito che non copre i bisogni umani di base come la pensione, la sanità, l'educazione, i trasporti, l'alloggio ed il divertimento. In effetti, la teoria marginalista tiene unicamente conto del valore di scambio della forza di lavoro ma in modo restrittivo considerando solo il suo livello fisiologico – unico punto di equilibrio ottimale del mercato del lavoro secondo l'asino Solow, altro Premio Nobel di origine ebrea ...) Udiamo quasi le severe rimostranze di Auguste Walras, lettore attento di Adolphe Blanqui e di Proudhon, indirizzate al suo figlio Léon relativamente all'importanza dell' ”economia sociale” per la costituzione del quadro preliminare nel quale vengono inserirsi inseguito le equazioni della “scienza economica” marginalista ... Il marginalismo è dunque veramente un crimine organizzato contro l'umanità, e più ancora, contro il proletariato purtroppo numericamente maggioritario in quelle che dovrebbero essere delle democrazie, ma che sono diventate solo dei sistemi di selezione-nominazione sovra-determinate dalla classe di origine, dal denaro e ben inteso dall'influenza delle logge massoniche che vuotano del loro senso tutte le istituzioni repubblicane, in particolare l'educazione ed il suffragio universale. Il dramma emblematico dell'economia politica e della sua critica si verifica in tutte le discipline, in particolare in tutti i rami della psicologia, come ho dimostrato con la mia teoria di “psicoanalisi marxista” esposta nel mio Pour Marx, contre le nihilisme, in particolare nella seconda parte (vedi la sezione Livres-Books del mio sito http://lacommune1871.tripod.com ; i brani corrispondenti in italiano sono disponibili nel Contrapitre, nella Sezione Italia del stesso sito.)
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L'aumento senza limite dei redditi delle tranche più privilegiate non può creare né sostenere la crescita economica tramite l'espansione demenziale del settore di Lusso, il quale rappresenta in realtà il nec plus ultra della volgarità (i.e degenerazione ad oltranza comunque fatalmente logica della politica dell'offerta e della “public policy” reaganiane e post-reaganiane, in una frase filosemite nietzschiane. Questo tipo di crescita insensata benefica solo il 1% già più ricco della società, con alcuni compensi per il 10 % al vertice della scala dei redditi, mentre il 20 % più basso perde sempre più terreno. Queste grottesche disuguaglianze valgono per i prodotti culturali come quelli partoriti dai “nouveaux philosophes”, che di filosofo hanno solo il nome e forse il fatto di ricevere rapidamente sulla propria testa i loro opuscoli, pubblicati a spese del contribuente (eg. Ferry), a meno che questo no sia un modo di abusare del stoicismo così universalmente recalcitrante ad ogni mostruosa singolarità eretta in principio, se non proprio in principio primo o in sekkhina ... col “diritto alla separazione” disuguale in premio!) In realtà, questo porta al colonialismo, all'imperialismo, al neo-liberalismo ed alla speculazione demenziale finanziata a credito, ma riposando non di meno sopra un “credito senza collaterale”; questo porta dunque ad un corteggio di crisi (vedi Marx, Lafargue, Hilferding, Rosa Luxemburg, Lenin assieme ad alcuni altri per il problema centrale posto dai surplus di capitale da investire fuori della propria Formazione sociale nazionale. Vedi pure i stessi per l'analisi della sovrapproduzione e del sottoconsumo. Per il credito senza collaterale nella sua forma moderna rivelata dalla crisi dei “subprimes”, vedi la Sessione Economie Politique Internationale del mio sito http://lacommune1871.tripod.com )
Il senso comune apparente di queste tabelle e curve di domande non è altro che l'orgoglio smisurato di questi asini col basto, i quali non di meno controllano la disciplina con una mano di ferro. Con i ninnoli delle distinzioni, il Premio Nobel in primis. Il loro è un crimine intellettuale e umano imperdonabile. Un crimine che l'avvenire non potrà mai perdonare. Questi sono apostoli auto-eletti della disuguaglianza umana imposta con la forza: debbono essere spazzati via dal palcoscenico della Storia.
Questa conclusione viene rafforzata dall'esame delle tabelle e delle curve che gli corrispondono.
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le tabelle e le curve delle offerte.
Ecco la presentazione di queste tabelle e curve di offerta secondo Samuelson (idem, p 91)
In effetti è proprio qui, nella sfera della produzione, che le asinate allucinatorie visuali dei marginalisti si rivelano con tutte le loro inettitudini “genetiche” e coltivate.
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Se questa curva può avere un senso qualunque deve per forza corrispondere ai costi di produzione aumentati dal profitto. Ma i marginalisti non sanno proprio come definire il profitto in una maniera endogena, dato che il loro mondo borghese cammina sempre sulla testa. Il profitto emerge solo dopo, tramite i prezzi. Questo significa che può solo emergere facendo riapparire la domanda in modo surrettizio. Questo è totalmente illegittimo. E ridondante con la curva della domanda anteriore, vista dal lato del consumo. Lo stesso problema persiste quando cerchiamo di mostrare l'equilibrio generale. Abbiamo qui un mancamento fatale, per il quale non vi è nessun rimedio, nemmeno nel tentativo di Adam Smith di valutare il rischio dell'investimento per spiegare il rendimento (o profitto) ispirandosi alla lotteria (ed alle probabilità); ovviamente, il prezzo una volta realizzato, non può più essere probabilista, mentre i costi di produzione debbono essere dati ex ante.
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Facciamo pero astrazione di tutto questo, consideriamo per ipotesi che la curva di offerta qui proposta corrisponde, non al “grano” ma, secondo l'ammirevole rimarca di Marshall a proposito di Ricardo che stuzzicò la curiosità del giovane Sraffa e lo mise in allerta, ad un settore “grano” corrispondente all'insieme dei beni agricoli non industriali che entrano nella riproduzione dei lavoratori. Da questo punto di vista, la curva dovrà imperativamente rispettare i dati della divisione interna del lavoro come lo dimostra Adam Smith quando discuta della pin factory; dovrà dunque rispettare i costi di produzione dell'azienda o dell'industria prima di presentarsi sul mercato. Fatalmente, l'utilità marginale sarà confrontata alla legge dei rendimenti crescenti – i.e., la cosiddetta logica delle economie di scala. (La legge dei rendimenti crescenti è, ben inteso, l'esatto lato opposto della medaglia dei rendimenti decrescenti aldilà del livello ottimale. Va ricordato che Ricardo crea una indicibile confusione in questa materia, sviluppando questa ultima legge per la rendita agricola allorché, al contrario di Smith e del buon senso, fa della terra una categoria economica non modificabile e dunque irrazionale dal punto di vista del valore di scambio, o se si preferisce, dal punto di vista economico.) Ergo: qual'è il livello ottimale dal punto di vista della produzione? Dato che trattiamo qui di una stessa azienda o industria, gli input per c e per v sono necessariamente standardizzati (altrimenti né la quantità, né il costo, né il prezzo sarebbero determinabili.) Questo si applica alla somma, intesa in valore di scambio, dei mestieri, il “lavoro semplice” o “comune” di Smith essendo solo una semplificazione primitiva del “lavoro astratto” e del “lavoro socialmente necessario” di Marx, concetti che forniscono la chiave di tutta questa accozzaglia.) E il caso ugualmente per le diverse macchine utilizzate per la produzione di un dato prodotto (o di un dato “insieme-prodotto” o “prodotto complesso”.) Ben inteso questo implica un controllo scientifico e manageriale rigoroso delle altre variabili cruciali per la produzione, come il tempo di lavoro, l'intensità congiunturale, l'intensità strutturale o produttività, o ancora quello che ho chiamato la “sovrappiù sociale” e che un sociologo borghese come Max Weber aveva intravisto ed occultato con la sua “razionalità burocratica”. Di conseguenza, questa curva di offerta è fallacia: rimane straniera al optimum effettivo dato dal funzionamento stesso della produzione e della divisione interna del lavoro. Questo può essere dimostrato facilmente ristabilendo il ruolo delle variabili menzionate qui sopra, e dunque i loro ratio ottimali, strutturalmente parlando. Da qui si può poi dimostrare, indipendentemente del prezzo fluttuante in modo congiunturale, che se il tempo di produzione aumenta senza che v aumentasse anch'esso, la situazione sarà inerentemente instabile, tanto dal punto di vista della gestione interna dell'azienda, quanto dal punto di vista della sua posizione sul “mercato”. La situazione sarà in effetti in contraddizione con l'ipotesi stessa della concorrenza, concepita come mobilità del capitale, che agirà allora più rapidamente sopra c et v e sopra i loro ratio nonché sopra il prezzo (o valore) unitario dei prodotti. Le relazioni tra prezzi realizzabili e quantità offerte date da Samuelson sono dunque fallaci da A a Z. Sono solo delle apparenze epifenomenali “formalizzate”, in astrazione di ogni considerazione scientifica. (Rinvio qui al pitre Karl Popper per questo genere di “formalizzazioni” e per la metodologia positivista implicata, se non alla “nuova alleanza” di Prigogine che l'ispira “ancora una volta” ...) Si mescola dunque allegramente, ma sempre con massima arroganza pseudo-scientifica di pontefici con le usuali lunghe orecchie ma certi di essere diventati i “maestri del mondo”, il tempo, l'intensità, la produttività e la sovrappiù sociale. Tutto ciò è ovviamente di un patetismo compiuto. Ma nondimeno questo apparato ideologico serve a selezionare i servi in camera che perorano come economisti! Anche qui siamo di fronte ad un crimine indicibile contro l'intelletto, raddoppiato da un crimine contro l'umanità. Perché le pratiche economiche che emergono da questa pseudo-scienza costituiscono un vero e proprio terrorismo sistematico, il quale si cifra con un enorme povertà artificialmente mantenuta al beneficio dei paesi e delle classi più ricchi e delle loro imprese, e con milioni di morti addizionati a centinaia di migliaia di decessi direttamente provocati dai piani di austerità e dalle cosiddette “condizionalità” del FMI e degli altri organismi del genere, tanto pubblici che privati.
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Importa distinguere bene l'aspetto tecnico (quantità) e l'aspetto prezzo della funzione di produzione. Per incisa, questo permette di capire l'importanza vitale della divisione del lavoro nel senso di Smith-Marx (i.e. tanto interna quanto esterna via la pin factory, il taylorismo e l'ergonomia moderna, per non parlare dei sotto-settori. Il fordismo del quale tanti “studiosi” si sono gargarizzati, essendo solo un aspetto primitivo, infra Welfare State e infra-Stato sociale, della distribuzione e della ridistribuzione socio-economica. Ora, in nessun modo di produzione possibile, si può ottenere una funzione di produzione senza referenza alle diverse variabili tecniche di questa divisione di lavoro (tempo, intensità congiunturale e strutturale, sovrappiù sociale.) Solo così si può capire e quantificare, tanto in quantità quanto in valore (o prezzo) quelli rapporti essenziali della funzione di produzione, notabilmente v/C, pv/v et pv/C, rispettivamente la composizione organica del capitale, il tasso di sfruttamento ed il tasso o saggio di profitto. Questa rimarca non è sprovvista dalla sua importanza ideologica e politica, dato che tanti ciarlatani di primo e di secondo ordine hanno decretato la fine del proletariato (e delle ideologie) sulla base dello smantellamento del sistema sociale o di Welfare (i.e. fordismo) da parte dei neoliberali, dei monetaristi reaganiani e dei neocon. (Usualmente in questo tipico mondo accademico, alcuni “svegli” - piuttosto che ''illuminati'' ... -, sempre incestuosamente auto-selezionati, straparlano più o meno coscientemente; fatalmente, la truppa sempre rinnovata dei loro seguaci e pappagalli riprendono servilmente in coro la stessa canzone sopra l'identica partizione.) Intanto la divisione del lavoro e la taylorizzazione non sono mai state così tante accentuate ed invadenti quanto oggi, come viene chiaramente dimostrato dalla parcellizzazione ed dal controllo online dei lavoratori sfruttati nei call-centers, per dare un unico esempio. Questo intanto è legato ad un vertiginoso aumento dei suicidi legati al lavoro. Vediamo cosa succede dal punto di vista tecnico: Ci rendiamo conto ad esempio che se si cerca ad afferrare in modo scientifico l'aumento di produttività, la funzione di produzione deve rimanere quantitativamente coerente. Notiamo il prodotto p. Se abbiamo c = 80 p; v = 20 p; e M = 120 p, ne segue che pv (non importa qui se viene chiamata “sovrappiù” o “profitto” dato che si tratta di termini quantitativi) deve rimanere uguale a 20 p, ogni considerazione relativa al prezzo del mercato supposto non sarà mai in grado di cambiare un minimo dettaglio a questo dato tecnico. L'unico modo di cambiare le cose consiste nel abbassare o nel elevare la produttività, in modo che, per lo stesso tempo di lavoro, M sarà più piccolo o più grande. In questo caso, la composizione organica del capitale e il tasso di sfruttamento dovranno adattarsi. Come ho già detto altrove, questa è una necessità aritmetica quanto una necessita economica, la quale nella sua forma più semplice può essere enunciata così: dato una somma aritmetica invariabile divisa in due parti uguali, se una parte diminuisce l'altra dovrà necessariamente aumentare in proporzione inversa. (Quelli che credono mascherare il loro credo oscurantista marginalista e borghese con un grande apparato matematico si ridicolizzano almeno nella stessa misura di Gödel usurpando e deformando il lavoro realmente scientifico di Alan Turing per produrre una minestra senza fondamenti logici, di fatti perfettamente inutile e senza la minima applicazione conosciuta: nessuna matematica possibile può entrare in contraddizione con la logica, l'aritmetica essendo una prima e vitale formalizzazione fondata sopra il trattamento di unità precise, dotate di attributi precisi. A volte questo crea difficoltà come viene illustrato dall'antico problema del raddoppio del cubo che Descartes avrebbe potuto risolvere più facilmente, ma forse con meno fertilità, riadattando l'unità di conto per renderla coerente con il passaggio della vecchia alla nuova costruzione, misurando così le due sul stesso metro.) Come si presentano le cose per i prezzi? Da quello che fu detto sopra per quello che riguarda l'aspetto tecnico, capiamo che volere stabilire i prezzi, senza considerare l'aspetto quantitativo che ne è il vettore portante, è una mostruosità anti-scientifica più o meno cosciente: di fatti, liquefare tutti i fattori di produzione ammonta alla creazione di false unità di conto, le quali non hanno più nessuno rapporto con le quantità reali destinate ad essere valutate in presunti “prezzi di mercato” (i quali pretendono riflettere il punto di equilibrio ... con un bello schema dimostrativo ...) Va sottolineato per incisa che la liquefazione del fattore lavoro conduce alla soglia fisiologica nazionale o globale secondo Solow, soglia purtroppo fluttuante; ma basta sostituire questa soglia solowiana con il presunto metro di Jean Fourastié, il lavoro del manovale, per realizzare che anche questo metro è falso. Fourastié cercò di trovare un metro fisicamente immutevole (fornendo come esempio la produzione dei specchi) per misurare la produttività nel tempo, tentativo che fallì. Sappiamo già perché: Fourastié cercando un metro che gli dia lo stesso lavoro per lo stesso tempo in modo tanto diacronico che sincronico, al meglio il lavoro del manovale di Fourastié sarà il “lavoro semplice” o “lavoro comune” di Smith, molto diverso del lavoro astratto e del lavoro socialmente necessario di Marx: il primo sarà al meglio un equivalente specifico (una merce usata per misurare altre merci) mentre il lavoro socialmente necessario può solo rappresentare un metro comune del valore di scambio di tutte le merci, col quale dunque stabilire la loro commensurabilità. Si noterà in oltre con una certa soddisfazione pensando a Böhm-Bawerk che, in assenza di referenza alle quantità, la funzione di produzione marginalista esibisce tutti i problemi falsamente imputati a Marx, in particolare la contraddizione ex ante/post hoc. Si otterrebbe c + v + ? = ? Ma visto che i prezzi di M e quelli di c + v sono stabiliti in modo separato, meglio mettere questa pseudo-teoria nella spazzatura e licenziare i suoi epigoni. Idem, quando si propone una risoluzione simultanea sopra la base occultata con raffinatezza da Tugan-Baranovski, cioè, il “mercato dei mercati” fondati sopra la liquefazione di tutti i fattori di produzione. (Come ben sappiamo Tugan-Baranovski aveva immaginato un schema di riproduzione a tre settori che non aveva più niente in comune, a parte le apparenze, con i schema di Riproduzione Semplice ed Allargata del Libro II del Capitale. Introducendo un terzo settore Oro, Tugan-Baranovski si creava ad arte una unità monetaria artificiale che gli permetteva di risolvere il problema, cioè precisamente quello che si era inventato se stesso (o se si vuole il suo adattamento personale del problema di Böhm-Bawerk e di Bortkiewics.) Questo schema di Tugan-Baranovski era formalizzato su misura per corrispondere all'equazione quadratica: così il fondo del problema spariva inevitabilmente sotto la forma, con tutti i gargarismi universitari prevedibili in simile caso, senza fare eccezione dei prolegomeni di Sraffa. Così vanno le cose nelle università e con il sapere borghese! Siamo molti lontani di quella Abbazia di Thélème cara a Rabelais!!! Per incisa, ho detto altrove che le cose mi sembravano ancora peggiore nel campo della fisica moderna, dato che anche un neofita come me può rendersi conto che la definizione probabilistica dell'atomo e dei suoi elettroni può solo portare al circo infernale della fisica quantica: disciplina che gira “superbamente” tutta tonda senza essere capace di render conto di 90 % - stima corrente e dunque ottimista – del suo oggetto di studio, ma disciplina che non di meno pretende che questi suoi misteri (logici) costituiscono il suo trionfo scientifico, mentre si impone la conformità delle teorie e dei soggetti di ricerca ... Un fatto che dovrebbe spingere ad investigare le origini sociologiche della teoria ...) Di più, i schemi di intercettazione delle curve di offerta e di domanda peccano per un altro lato; debbono per forza includere gli invenduti che partecipano alla formazione del prezzo, dunque concretamente allo spreco capitalista sistematico. Ovviamente, questi invenduti ritornano sul mercato e vengono inquinare la vendita delle nuove sforante di produzione via il supposto meccanismo del mercato (Come possiamo vedere, questo è ben più drammatico del problema sraffiano somma tutto benigno e razionale dei valori provenienti da diverse “epoche produttive”, valori che sono necessariamente rivisitati con la scheda dominante del valore di scambio sistemico quando ritornano nel circuito della produzione-riproduzione. Abbiamo detto sopra che questa scheda dominante corrisponde alla produttività più alta. Possiamo già anticipare quello che verrà chiarificato nell'Appendice (vedi qui sotto), cioè che i stessi epifenomeni dell'offerta e della domanda sono governati (sovra-determinati) in maniera sotto-giacente dalla”domanda sociale”, o per meglio dire dalla forma che prenderanno le Equazioni della Riproduzione stabilite da Marx nel Libro II del Capitale.)
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Rivediamo la curva delle offerte proveniente da una azienda (o da una industria) alla luce della funzione di produzione: c + v + pv = M. Dunque, c e v sono dati ex ante, o se si vuole, empiricamente; sono anche dati al loro livello strutturale optimum, perché altrimenti i capitalisti concernuti realizzerebbero rapidamente di perder il tempo e di sprecare le materie prime come illustra Marx nella sua analisi del macchinismo (notabilmente nel Libro I.) Questo rimane vero anche se, in una prospettiva solowiana a corto termine, il capitalista crede in maniera pre-fordista che il punto di equilibrio sarà solo raggiunto con la soglia fisiologica del salario operaio (soglia sfortunatamente anche essa fluttuante ... e dunque ben lontana di potere rappresentare una costante economica malgrado si confida al ghiribizzo micidiale di Malthus e Co. O ancora a quello dei redattori del Report from the Iron Mountain col quale l'Establishment US teorizzò il ritorno ad una società della nuova schiavitù e della nuova domesticità; vedi a proposito il Rapporto stesso in http://www.mega.nu:8080/ampp/ironmtn.htm; il tentativo tardivo di presentare questo Rapporto come una satira, contraddice le affermazioni sul suo onore ma in senso opposto di John Galbraith e, per dire tutta la verità, rileva della tecnica del “damage control” : conviene dunque domandare la messa a disposizione dei studi preparatori sui quali si basa il Rapporto stesso, visto che questi fanno anche loro parte del dominio pubblico ... almeno che furono anche esse partorite dal stesso volgare satirico, scribacchino di professione ...) Riportarsi anche alla Nota 15 sopra John Galbraith nel mio libro intitolato Keynésianisme, Marxisme, Stabilité Economique et Croissance, accessibile nella sessione Livres-Books del mio sito. Questa nota in italiano è disponibile nei Brani tradotti nella Sessione Italia del stesso sito.) Questo punto di vista barbaro e pre-scientifico, in contraddizione frontale ma illegittima con la Teoria generale dell'impiego, dell'interesso e della moneta di Keynes (per non parlare della dinamizzazione della teoria di Keynes tentata da Harrod) aggrava comunque le crisi partorite dal modo di produzione capitalista. Notiamo rapidamente qui che nel suo articolo del 1956 per il quale ebbe il Premio Nobel (A contribution to the theory of economic growth,) Solow non ha mai prodotto la minima confutazione di Keynes né di Harrod; falsificò semplicemente i dati del problema, coscientemente o incoscientemente – questione che riguarda la sua coscienza ed il comitato di attribuzione del Premio Nobel) ponendo una funzione di produzione Y = f(K,L) dove L è presunto essere nel stesso tempo il pieno impiego e l'impiego disponibile ad un dato momento ... Ma ritorniamo al livello strutturalmente optimum menzionato sopra: questo da quantità e costi di produzione ex ante. Di fatti, la contabilità borghese è qui obbligata a moltiplicare le categorie per rimanere efficiente nella sua corsa empirico-pratica: ad esempio, il profitto, il reddito, l'interesse, il beneficio, il ritorno sull'investimento ed anche il famigerato e distruttore Roe, ovvero «return over equity», ecc,... Abbiamo qui la situazione seguente: c + v + ? = M, situazione nella quale i costi sono parziali e le quantità determinate. Ad esempio, per i prezzi: c = 80 euro, v = 20 euro, dando M = 120 p. Il che permette di dedurre pv uguale a 20 p (poco importa in ogni caso la definizione che si vorrà ritenere per pv.) In modo che a) se pv è superiore in termine quantitativi, v sarà derubato di una parte del suo tempo di lavoro, mentre c dovrà necessariamente crescere, altrimenti l'optimum strutturale non sarà raggiunto (di fatti, questo è grosso modo il caso del grottesco « lavorare di più» (sarkoziano) in un contesto dentro il quale il « salario individuale » viene già pagato con le sottrazioni sempre più pesanti effettuate sopra il « salario differito » e sopra il « reddito globale netto », questo ultimo apparendo come trasferimenti sociali pubblici sotto forma di servici sociali di acceso universale...) b) si v è inferiore in quantità allora questo è il segno che qualcosa non quadra: intanto nella produzione, al contrario di quanto prevale con le confortevoli poltrone accademiche mainstream, quando non quadra così per troppo allungo ne segue l'espulsione dal mercato senza che sia perso troppo tempo in questioni inutili (so much for «public policy» …the pseudo-discipline invented by these same academic pitres.) c) Similarmente e dal lato dei prezzi, se 120 p non corrispondono a M = 120 euro (o almeno al rapporto quantià/prezzo specificamente determinato dalla composizione organica (v/C) e dal tasso di sfruttamento pv/v in vigore) questo sarà il segno che tutto il sistema micro e macroeconomico l'equilibrio generale) è irrimediabilmentee bancale. Possiamo dunque costatare che i punti sopra la curva non sono solo ipotetici, e nemmeno empirici: sono semplicemente fallaci (compreso dal punto di vista delle economie di scala, le quali tecnicamente parlando non possono fluttuare secondoo l'umore più o meno keynesiana o harrodiana di « bastardi » economisti più o meno onesti ...) Qualcuno potrà affermare: Ma la domanda e l'offerta possono variare irrazionalmente in modo puntuale. Certo, ma questo fatto non ha nessuna incidenza strutturale, dato che non ha nessun effetto sulla funzione di produzione in quanto tale. La funzione di produzione deve per forza avere un significato strutturale se non concettuale preciso, tanto dal punto di vista pratico quanto dal punto di vista teorico. In modo simile non ha nessun effetto sul passaggio obbligato – più o meno scientificamente riconosciuto – dal lavoro o dal capitale singolo al lavoro astratto (effettivamente utilizzato nella produzione immediata malgrado o piuttosto grazie alla divisione interna del lavoro) dunque al lavoro ed al capitale socialmente necessari. Il che avrà un'incidenza ben più sottile di questo. Perché nell'assenza di un Piano, l'Offerta e la Domanda che dovrebbero essere determinati a medio e lungo termine dalle Equazioni della Riproduzione Semplice o Allargata (dunque dalla «domanda sociale») saranno inquinate da una inflazione organica imposta dai prezzi: In effetti, abbiamo qui una conferma non una confutazione della Legge del valore dato che, come l'ho mostrato altrove (vedi il riassunto nell'Appendice qui sotto) i prezzi altro non saranno che l'espressione della Legge del valore realizzata secondo le contraddizioni imposte dalla proprietà privata, la quale impone sempre una produzione sociale associata ad una accumulazione privata. Sotto l'epifenomeno prezzo, il fenomeno valore (con i suoi rapporti fondamentali) rimane determinate. Si repleta qui quello che fu già detto in referenza al giovane Marx dei Manoscritti parigini del 1844 . In quest'opera cruciale per la nascita della citrica dell'economia politica classica si fa notare che se le oscillazioni che definiscono la concorrenza si aboliscono l'una con l'altra nel medio e lungo termine, allora la logica economica sotto-giacente deve per forza risiedere altrove. Aggiungiamo che le variazioni costatati tra epifenomeni borghesi e fenomeni scientifici sono l'oggetto di mediazioni. Queste prendono la forma della lotta di classe. In termini semplici, ci sarà sempre un equilibrio capitalista possibile, ma come ho segnalato nel secondo capitolo del mio Keynésianisme, Marxisme, Stabilité Economique et Croissance, sarà un “equilibrio dei cimiteri” (del genere di quelli copiati da Dostoevskij, e dopo di lui dagli SS, sulle pratiche rabbiniche notturne di maledizione ....Ma come ben possiamo vedere, malgrado tutti i patetici “decostruzionisti”, non è il “spettro” di Marx che danza in quei luoghi e in tale compagnia ...) Un tale equilibrio a-sociale prevale, ad esempio, quando la riproduzione si concentra sopra la soddisfazione prioritaria dei bisogni speculativi puramente monetari, invece di concentrarsi sopra la soddisfazione dei bisogni di base di tutti i cittadini, presunti tutti uguali agli occhi della legge.
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Abbiamo già denunciato l'incomprensione ricardiana e marginalista congenita del problema della rendita e della scarsità. Samuelson tenta di trattare questo problema come un “paradosso”. Ho fatto notare altrove che esistono veri paradossi i quali impongano una relativizzazione dei riferenti dell'Universo nel quale ci muoviamo, e dei falsi paradossi che dimostrano solo una insufficienza logica e teorica dei paradigmi o dei ragionamenti utilizzati (oppure, peggio ancora, con i numerosi manipolatori rabbinico-massonici del genere di Gödel e tanti altri, un annuvolare delle piste destinato ad impedire la marcia verso la conoscenza scientifica secondo l'antico settarismo biblico.) Di fatti, i teorici borghesi non capiscono niente alla contabilità socio-economica ed ambientale come io ho dimostrato con il mio ecomarxismo. Al meglio, ci offrono lo “sviluppo durevole” e la “decrescita”. Il primo rappresenta solo un maldestro e poco convincente tentativo di conciliare il capitalismo e l'ecologia con una ripetizione della demagogia della “mano invisibile”, riformulata in questa vesta malgrado ogni forma assunta dal principio di precauzione: se c'è un profitto da trarre l'ecologia troverà il suo posto. Intanto, questo prende la forma concreta dei “certificati verdi” e delle loro borse fortemente sovvenzionate dallo Stato malgrado il loro fiasco già sperimentato, fiasco che avevo comunque previsto sin dall'inizio! Idem per le energie dette rinnovabili, intermittenti e poco affidevoli, a parte il nucleare ingiustamente demonizzato. Da notare qui la patetica incapacità di mettere in pratica il principio del “pollueur payeur”contro le aziende private (“paga chi inquina” per assicurare il restauro ambientale). Questo malgrado l'estensione dei swaps al dominio dell'assicurazione da parte della Banca Morgan nel caso del Exxon Valdez, come venne documentato da Gillan Tett (2009.) Per quello che riguarda la “decrescita”, le cose vanno ancora peggio. Per i demagoghi di questa ecologia capitalista che si iscrive in linea diretta nella traiettoria iniziata dal Club di Roma e da il suo antenato il Report from the Iron Mountain, si tratta prima di tutto di preservare le disparità esistenti nella distribuzione filosemita nietzschiana attuale delle ricchezze assieme alle ripugnate “impronte ecologiche”. Per colmo, infierisce la “desincitazione” al consumo del proletariato propagata con il credo della colpevolezza rispetto alla protezione ambientale. L'obbiettivo di tale agitazione reazionaria è il tentativo di rovesciare le “rising expectations” dei lavoratori denunciate anni fa dalla Commissione Trilaterale ispirata da Huntington, quello stesso pitre che ideò i “strategic hamlets” nel Vietnam e le guerre di civiltà attuali, con i loro corteggi di bombardamenti preventivi e le loro liberticide crociate interne (favole del 9-11 e Patriot Act) ed esterne (Afghanistan, Iraq, Libano, Sudano, Somalia ecc., ecc., ecc. ...) A Copenaghen, si ci appresta a sacralizzare questa “desincitazione”, ad esempio con la tassa carbone che va di pari passi con i grotteschi e criminali piani di salvataggio delle banche private, i scudi fiscali ed i bonus miliardari, mentre le fabbriche di cimento e le altre grandi industrie altamente inquinanti sarebbero largamente esentate. Tutto questo malgrado il fatto che 50 % del CO2 rigettato nell'atmosfera nei paesi ricchi proviene dei trasporti su ruota, in particolare le macchine, mentre l'industria asfissia senza pietà le nuove tecnologie, come quella del motore a aria compressa più adiuvante, col unico scopo di preservare le industrie attualmente legate al motore ad esplosione (o alla sua sostituzione eventuale con il motore elettrico, come se l'elettricità supplementare necessaria in tal caso fosse una manna caduta dal cielo, esenta di CO2 e di gas a effetto serra.)
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Le tabelle e le curve del punto di equilibrio: punto di intercettazione ed equilibrio.
Vediamo ora come Samuelson presenta il presunto prezzo di equilibrio del mercato via l'intercettazione delle sue due curve (pp 93 e 94)
Ben inteso questa unificazione delle due tabelle e delle due curve presenta tutti i difetti accumulati, già descritti in precedenza. Immaginate allora facilmente cosa può produrre l'operato della “mano invisibile”, cioè la riproduzione socio-economica compiuta in queste condizioni, operato riassunto dall'enunciato smithiano, in apparenza pieno di buon senso, secondo il quale se esiste un bisogno, un'offerta lo soddisfarà; purtroppo questo potrà solo avverarsi con bisogni solvibili, cosa certo non assicurata in partenza! Sopratutto se il criterio della solvibilità è strettamente interpretato secondo criteri mercanti, privati o, per colmo, abbandonati al controllo privato. In modo ancora peggiore, la “mano invisibile” viene unicamente concepita nella accezione marginalista di mercato dei mercati ... secondo la logica di un equilibrio fondato sopra una (evanescente) soglia psicologica ... costantemente tirata verso il basso dalla liberazione secolare dell'Armata di riserva del proletariato prodotta dalla ricerca costante della produttività massima, almeno in assenza della riduzione legale del tempo di lavoro (domenica, ferie, giornata di 10 e poi di 8 ore sancita dall'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), RTT, ecc. ...)
Visto tutto questo gli Asini dirigenti non esitano a presentarci l'Economia con l'aiuto di puerili disegni à la Disneyland (ben inteso, tenendo conto delle simpatie ideologiche reali, filosemite nietzschiane del suo inventore.)
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Constatati da voi stessi (idem p 95) lo spostamento a sinistra o a destra delle curve (alla luce delle messe al punto precedenti):
Questo cinema del spostamento a sinistra o a destra non è sprovvisto di interesse dal punto di vista dell'Estetica, un punto di vista probabilmente incomprensibile per il rabbinico e nietzschiano Benjamin, preso qui come emblematico e tragico rappresentante del storicismo borghese, beatamente rabbinico e filosemita nietzschiano. Né voglio per prova un Charles Baudelaire, liberato di queste false sekkhina che no furono mai per lui altra cosa che una necessaria dialettica, in fase con l'eredità repubblicana e ugualitaria della sua Repubblica (Vedi ad esempio Abel et Caïn, o ancora Les litanies de Satan nelle Fleurs du mal.) Esso affermava per altro “ Io odio il movimento che sposta la linea” (“Je haïs le mouvement qui déplace la ligne”.) ma si riferiva ad una Bellezza diversa, annunciatrice di un altro modo di pensare e di produrre, ancora a venire ma magnificamente annunciata da Rimbaud (v. nelle Illuminations il splendido poema Eternité, poema che sorpassa ad un botto la cosmologia in cicli di Auguste Blanqui e le false emancipazioni artificiali o spirituali, per meglio salutare, in termini semplici ma scelti, secondo il consiglio di Verlaine, l'emancipazione sociale preludiata dalla Commune de Paris; vedi ancora il poema Fleurs dove si mette in scena la gravitazione naturale dei fiori attorno alla rosa di acqua, similare a quella dei prezzi attorno al Valore, se mi si conceda questa generalizzazione metaforica.)
Si noterà en passant che Samuelson presenta qui (p 95) il suo puerile cinema illusionista senza neanche prendere la precauzione elementare di riferirsi al suo esempio “grano” anteriore. Non è una cosa anodina; se avesse dovuto farlo per conservare una somiglianza di unità di presentazione, la sua incredibile supposizione : ''se per una ragione qualunque etc …'' che adorna la didascalia data in commentario del suo schema, avrebbe dovuto essere illustrata da condizioni reali (qui, al minimo, coerenti con i schemi precedenti) il che avrebbe subito confermato tutte le mie critiche anteriori, in particolare quelle relative alle condizioni tecniche strutturali della produzione (i.e., in termini marxisti: la composizione organica e il tasso di sfruttamento che gli corrisponde, dal quale tutto il resto dipende in funzione delle Equazioni marxiste della Riproduzione.)
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