Una sera, Agnese sente fermarsi un legno all'uscio. - È lei, di certo! - Era proprio lei, con la buona vedova. L'accoglienze vicendevoli se le immagini il lettore.
La mattina seguente, di buon'ora, capita Renzo che non sa nulla, e vien solamente per isfogarsi un po' con Agnese su quel gran tardare di Lucia. Gli atti che fece, e le cose che disse, al trovarsela davanti, si rimettono anche quelli all'immaginazion del lettore. Le dimostrazioni di Lucia in vece furon tali, che non ci vuol molto a descriverle. - Vi saluto: come state? - disse, a occhi bassi, e senza scomporsi. E non crediate che Renzo trovasse quel fare troppo asciutto, e se l'avesse per male. Prese benissimo la cosa per il suo verso; e, come, tra gente educata, si sa far la tara ai complimenti, così lui intendeva bene che quelle parole non esprimevan tutto ciò che passava nel cuore di Lucia. Del resto, era facile accorgersi che aveva due maniere di pronunziarle: una per Renzo, e un'altra per tutta la gente che potesse conoscere.
- Sto bene quando vi vedo, - rispose il giovine, con una frase vecchia, ma che avrebbe inventata lui, in quel momento.
- Il nostro povero padre Cristoforo...! - disse Lucia: - pregate per l'anima sua: benché si può esser quasi sicuri che a quest'ora prega lui per noi lassù.
- Me l'aspettavo, pur troppo, - disse Renzo. E non fu questa la sola trista corda che si toccasse in quel colloquio. Ma che? di qualunque cosa si parlasse, il colloquio gli riusciva sempre delizioso. Come que' cavalli bisbetici che s'impuntano, e si piantan lì, e alzano una zampa e poi un'altra, e le ripiantano al medesimo posto, e fanno mille cerimonie prima di fare un passo, e poi tutto a un tratto prendon l'andare, e via, come se il vento li portasse, così era divenuto il tempo per lui: prima i minuti gli parevan ore; poi l'ore gli parevan minuti.
La vedova, non solo non guastava la compagnia, ma ci faceva dentro molto bene; e certamente, Renzo, quando la vide in quel lettuccio, non se la sarebbe potuta immaginare d'un umore così socievole e gioviale. Ma il lazzeretto e la campagna, la morte e le nozze, non son tutt'uno. Con Agnese essa aveva già fatto amicizia; con Lucia poi era un piacere a vederla, tenera insieme e scherzevole, e come la stuzzicava garbatamente, e senza spinger troppo, appena quanto ci voleva per obbligarla a dimostrar tutta l'allegria che aveva in cuore.
Renzo disse finalmente che andava da don Abbondio, a prendere i concerti per lo sposalizio. Ci andò, e, con un certo fare tra burlesco e rispettoso, - signor curato, - gli disse: - le è poi passato quel dolor di capo, per cui mi diceva di non poterci maritare? Ora siamo a tempo; la sposa c'è: e son qui per sentire quando le sia di comodo: ma questa volta, sarei a pregarla di far presto -. Don Abbondio non disse di no; ma cominciò a tentennare, a trovar cert'altre scuse, a far cert'altre insinuazioni: e perché mettersi in piazza, e far gridare il suo nome, con quella cattura addosso? e che la cosa potrebbe farsi ugualmente altrove; e questo e quest'altro.
- Ho inteso, - disse Renzo: - lei ha ancora un po' di quel mal di capo. Ma senta, senta -. E cominciò a descrivere in che stato aveva visto quel povero don Rodrigo; e che già a quell'ora doveva sicuramente essere andato. - Speriamo, - concluse, - che il Signore gli avrà usato misericordia.
- Questo non ci ha che fare, - disse don Abbondio: - v'ho forse detto di no? Io non dico di no; parlo... parlo per delle buone ragioni. Del resto, vedete, fin che c'è fiato... Guardatemi me: sono una conca fessa; sono stato anch'io, più di là che di qua: e son qui; e... se non mi vengono addosso de' guai... basta... posso sperare di starci ancora un pochino. Figuratevi poi certi temperamenti. Ma, come dico, questo non ci ha che far nulla.
Dopo qualche altra botta e risposta, né più né meno concludenti, Renzo strisciò una bella riverenza, se ne tornò alla sua compagnia, fece la sua relazione, e finì con dire: - son venuto via, che n'ero pieno, e per non risicar di perdere la pazienza, e di levargli il rispetto. In certi momenti, pareva proprio quello dell'altra volta; proprio quella mutria, quelle ragioni: son sicuro che, se la durava ancora un poco, mi tornava in campo con qualche parola in latino. Vedo che vuol essere un'altra lungagnata: è meglio fare addirittura come dice lui, andare a maritarsi dove andiamo a stare.
- Sapete cosa faremo? - disse la vedova: - voglio che andiamo noi altre donne a fare un'altra prova, e vedere se ci riesce meglio. Così avrò anch'io il gusto di conoscerlo quest'uomo, se è proprio come dite. Dopo desinare voglio che andiamo; per non tornare a dargli addosso subito. Ora, signore sposo, menateci un po' a spasso noi altre due, intanto che Agnese è in faccende: ché a Lucia farò io da mamma: e ho proprio voglia di vedere un po' meglio queste montagne, questo lago, di cui ho sentito tanto parlare; e il poco che n'ho già visto, mi pare una gran bella cosa.
Renzo le condusse prima di tutto alla casa del suo ospite, dove fu un'altra festa: e gli fecero promettere che, non solo quel giorno, ma tutti i giorni, se potesse, verrebbe a desinare con loro.
Passeggiato, desinato, Renzo se n'andò, senza dir dove. Le donne rimasero un pezzetto a discorrere, a concertarsi sulla maniera di prender don Abbondio; e finalmente andarono all'assalto.
" Son qui loro ", disse questo tra sé; ma fece faccia tosta: gran congratulazioni a Lucia, saluti ad Agnese, complimenti alla forestiera. Le fece mettere a sedere, e poi entrò subito a parlar della peste: volle sentir da Lucia come l'aveva passata in que' guai: il lazzeretto diede opportunità di far parlare anche quella che l'era stata compagna; poi, com'era giusto, don Abbondio parlò anche della sua burrasca; poi de' gran mirallegri anche a Agnese, che l'aveva passata liscia. La cosa andava in lungo: già fin dal primo momento, le due anziane stavano alle velette, se mai venisse l'occasione d'entrar nel discorso essenziale: finalmente non so quale delle due ruppe il ghiaccio. Ma cosa volete? Don Abbondio era sordo da quell'orecchio. Non che dicesse di no; ma eccolo di nuovo a quel suo serpeggiare, volteggiare e saltar di palo in frasca. - Bisognerebbe, - diceva, - poter far levare quella catturaccia. Lei, signora, che è di Milano, conoscerà più o meno il filo delle cose, avrà delle buone protezioni, qualche cavaliere di peso: ché con questi mezzi si sana ogni piaga. Se poi si volesse andar per la più corta, senza imbarcarsi in tante storie; giacché codesti giovani, e qui la nostra Agnese, hanno già intenzione di spatriarsi (e io non saprei cosa dire: la patria è dove si sta bene), mi pare che si potrebbe far tutto là, dove non c'è cattura che tenga. Non vedo proprio l'ora di saperlo concluso questo parentado, ma lo vorrei concluso bene, tranquillamente. Dico la verità: qui, con quella cattura viva, spiattellar dall'altare quel nome di Lorenzo Tramaglino, non lo farei col cuor quieto: gli voglio troppo bene; avrei paura di fargli un cattivo servizio. Veda lei; vedete voi altre.
Qui, parte Agnese, parte la vedova, a ribatter quelle ragioni; don Abbondio a rimetterle in campo, sott'altra forma: s'era sempre da capo; quando entra Renzo, con un passo risoluto, e con una notizia in viso; e dice: - è arrivato il signor marchese ***.
- Cosa vuol dir questo? arrivato dove? - domanda don Abbondio, alzandosi.
- E arrivato nel suo palazzo, ch'era quello di don Rodrigo; perché questo signor marchese è l'erede per fidecommisso, come dicono; sicché non c'è più dubbio. Per me, ne sarei contento, se potessi sapere che quel pover'uomo fosse morto bene. A buon conto, finora ho detto per lui de' paternostri, adesso gli dirò de' De profundis. E questo signor marchese è un bravissim'uomo.
- Sicuro, - disse don Abbondio: - l'ho sentito nominar più d'una volta per un bravo signore davvero, per un uomo della stampa antica. Ma che sia proprio vero...?
- Al sagrestano gli crede?
- Perché?
- Perché lui l'ha veduto co' suoi occhi. Io sono stato solamente lì ne' contorni, e, per dir la verità, ci sono andato appunto perché ho pensato: qualcosa là si dovrebbe sapere. E più d'uno m'ha detto lo stesso. Ho poi incontrato Ambrogio che veniva proprio di lassu, e che l'ha veduto, come dico, far da padrone. Lo vuol sentire, Ambrogio? L'ho fatto aspettar qui fuori apposta.
- Sentiamo, - disse don Abbondio. Renzo andò a chiamare il sagrestano. Questo confermò la cosa in tutto e per tutto, ci aggiunse altre circostanze, sciolse tutti i dubbi; e poi se n'andò.
- Ah! è morto dunque! è proprio andato! - esclamò don Abbondio. - Vedete, figliuoli, se la Provvidenza arriva alla fine certa gente. Sapete che l'è una gran cosa! un gran respiro per questo povero paese! che non ci si poteva vivere con colui. E stata un gran flagello questa peste; ma è anche stata una scopa; ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più: verdi, freschi, prosperosi: bisognava dire che chi era destinato a far loro l'esequie, era ancora in seminario, a fare i latinucci. E in un batter d'occhio, sono spariti, a cento per volta. Non lo vedremo più andare in giro con quegli sgherri dietro, con quell'albagìa, con quell'aria, con quel palo in corpo, con quel guardar la gente, che pareva che si stesse tutti al mondo per sua degnazione. Intanto, lui non c'è più, e noi ci siamo. Non manderà più di quell'imbasciate ai galantuomini. Ci ha dato un gran fastidio a tutti, vedete: ché adesso lo possiamo dire.
- Io gli ho perdonato di cuore, - disse Renzo.
- E fai il tuo dovere, - rispose don Abbondio: - ma si può anche ringraziare il cielo, che ce n'abbia liberati. Ora, tornando a noi, vi ripeto: fate voi altri quel che credete. Se volete che vi mariti io, son qui; se vi torna più comodo in altra maniera, fate voi altri. In quanto alla cattura, vedo anch'io che, non essendoci ora più nessuno che vi tenga di mira, e voglia farvi del male, non è cosa da prendersene gran pensiero: tanto più, che c'è stato di mezzo quel decreto grazioso, per la nascita del serenissimo infante. E poi la peste! la peste! ha dato di bianco a di gran cose la peste! Sicché, se volete... oggi è giovedì... domenica vi dico in chiesa; perché quel che s'è fatto l'altra volta, non conta più niente, dopo tanto tempo; e poi ho la consolazione di maritarvi io.
- Lei sa bene ch'eravamo venuti appunto per questo, - disse Renzo.
- Benissimo; e io vi servirò: e voglio darne parte subito a sua eminenza.
- Chi è sua eminenza? - domandò Agnese.
- Sua eminenza, - rispose don Abbondio, - è il nostro cardinale arcivescovo, che Dio conservi.
- Oh! in quanto a questo mi scusi, - replicò Agnese: - ché, sebbene io sia una povera ignorante, le posso accertare che non gli si dice così; perché, quando siamo state la seconda volta per parlargli, come parlo a lei, uno di que' signori preti mi tirò da parte, e m'insegnò come si doveva trattare con quel signore, e che gli si doveva dire vossignoria illustrissima, e monsignore.
- E ora, se vi dovesse tornare a insegnare, vi direbbe che gli va dato dell'eminenza: avete inteso? Perché il papa, che Dio lo conservi anche lui, ha prescritto, fin dal mese di giugno, che ai cardinali si dia questo titolo. E sapete perché sarà venuto a questa risoluzione? Perché l'illustrissimo, ch'era riservato a loro e a certi principi, ora, vedete anche voi altri, cos'è diventato, a quanti si dà: e come se lo succiano volentieri! E cosa doveva fare, il papa? Levarlo a tutti? Lamenti, ricorsi, dispiaceri, guai; e per di più, continuar come prima. Dunque ha trovato un bonissimo ripiego. A poco a poco poi, si comincerà a dar dell'eminenza ai vescovi; poi lo vorranno gli abati, poi i proposti: perché gli uomini son fatti così; sempre voglion salire, sempre salire; poi i canonici...
- Poi i curati, - disse la vedova.
- No no, - riprese don Abbondio: - i curati a tirar la carretta: non abbiate paura che gli avvezzin male, i curati: del reverendo, fino alla fin del mondo. Piuttosto, non mi maraviglierei punto che i cavalieri, i quali sono avvezzi a sentirsi dar dell'illustrissimo, a esser trattati come i cardinali, un giorno volessero dell'eminenza anche loro. E se la vogliono, vedete, troveranno chi gliene darà. E allora, il papa che ci sarà allora, troverà qualche altra cosa per i cardinali. Orsù, ritorniamo alle nostre cose: domenica vi dirò in chiesa; e intanto, sapete cos'ho pensato per servirvi meglio? Intanto chiederemo la dispensa per l'altre due denunzie. Hanno a avere un bel da fare laggiù in curia, a dar dispense, se la va per tutto come qui. Per domenica ne ho già... uno... due... tre; senza contarvi voi altri: e ne può capitare ancora. E poi vedrete, andando avanti, che affare vuol essere: non ne deve rimanere uno scompagnato. Ha proprio fatto uno sproposito Perpetua a morire ora; ché questo era il momento che trovava l'avventore anche lei. E a Milano, signora, mi figuro che sarà lo stesso.
- Eccome! si figuri che, solamente nella mia cura, domenica passata, cinquanta denunzie.
- Se lo dico; il mondo non vuol finire. E lei, signora, non hanno principiato a ronzarle intorno de' mosconi?
- No, no; io non ci penso, né ci voglio pensare.
- Sì, sì, che vorrà esser lei sola. Anche Agnese, veda; anche Agnese...
- Uh! ha voglia di scherzare, lei, - disse questa.
- Sicuro che ho voglia di scherzare: e mi pare che sia ora finalmente. Ne abbiam passate delle brutte, n'è vero, i miei giovani? delle brutte n'abbiam passate: questi quattro giorni che dobbiamo stare in questo mondo, si può sperare che vogliano essere un po' meglio. Ma! fortunati voi altri, che, non succedendo disgrazie, avete ancora un pezzo da parlare de' guai passati: io in vece, sono alle ventitre e tre quarti, e... i birboni posson morire; della peste si può guarire; ma agli anni non c'è rimedio: e, come dice, senectus ipsa est morbus.
- Ora, - disse Renzo, - parli pur latino quanto vuole; che non me n'importa nulla.
- Tu l'hai ancora col latino, tu: bene bene, t'accomoderò io: quando mi verrai davanti, con questa creatura, per sentirvi dire appunto certe paroline in latino, ti dirò: latino tu non ne vuoi: vattene in pace. Ti piacerà?
- Eh! so io quel che dico, - riprese Renzo: - non è quel latino lì che mi fa paura: quello è un latino sincero, sacrosanto, come quel della messa: anche loro, lì, bisogna che leggano quel che c'è sul libro. Parlo di quel latino birbone, fuor di chiesa, che viene addosso a tradimento, nel buono d'un discorso. Per esempio, ora che siam qui, che tutto è finito; quel latino che andava cavando fuori, lì proprio, in quel canto, per darmi ad intendere che non poteva, e che ci voleva dell'altre cose, e che so io? me lo volti un po' in volgare ora.
- Sta' zitto, buffone, sta' zitto: non rimestar queste cose; ché, se dovessimo ora fare i conti, non so chi avanzerebbe. Io ho perdonato tutto: non ne parliam più: ma me n'avete fatti de' tiri. Di te non mi fa specie, che sei un malandrinaccio; ma dico quest'acqua cheta, questa santerella, questa madonnina infilzata, che si sarebbe creduto far peccato a guardarsene. Ma già, lo so io chi l'aveva ammaestrata, lo so io, lo so io -. Così dicendo, accennava Agnese col dito, che prima aveva tenuto rivolto a Lucia: e non si potrebbe spiegare con che bonarietà, con che piacevolezza facesse que' rimproveri. Quella notizia gli aveva dato una disinvoltura, una parlantina, insolita da gran tempo; e saremmo ancor ben lontani dalla fine, se volessimo riferir tutto il rimanente di que' discorsi, che lui tirò in lungo, ritenendo più d'una volta la compagnia che voleva andarsene, e fermandola poi ancora un pochino sull'uscio di strada, sempre a parlar di bubbole.
Il giorno seguente, gli capitò una visita, quanto meno aspettata tanto più gradita: il signor marchese del quale s'era parlato: un uomo tra la virilità e la vecchiezza, il cui aspetto era come un attestato di ciò che la fama diceva di lui: aperto, cortese, placido, umile, dignitoso, e qualcosa che indicava una mestizia rassegnata.
- Vengo, - disse, - a portarle i saluti del cardinale arcivescovo.
- Oh che degnazione di tutt'e due!
- Quando fui a prender congedo da quest'uomo incomparabile, che m'onora della sua amicizia, mi parlò di due giovani di codesta cura, ch'eran promessi sposi, e che hanno avuto de' guai, per causa di quel povero don Rodrigo. Monsignore desidera d'averne notizia. Son vivi? E le loro cose sono accomodate?
- Accomodato ogni cosa. Anzi, io m'era proposto di scriverne a sua eminenza; ma ora che ho l'onore...
- Si trovan qui?
- Qui; e, più presto che si potrà, saranno marito e moglie.
- E io la prego di volermi dire se si possa far loro del bene, e anche d'insegnarmi la maniera più conveniente. In questa calamità, ho perduto i due soli figli che avevo, e la madre loro, e ho avute tre eredità considerabili. Del superfluo, n'avevo anche prima: sicché lei vede che il darmi una occasione d'impiegarne, e tanto più una come questa, è farmi veramente un servizio.
- Il cielo la benedica! Perché non sono tutti come lei i...? Basta; la ringrazio anch'io di cuore per questi miei figliuoli. E giacché vossignoria illustrissima mi dà tanto coraggio, sì signore, che ho un espediente da suggerirle, il quale forse non le dispiacerà. Sappia dunque che questa buona gente son risoluti d'andare a metter su casa altrove, e di vender quel poco che hanno al sole qui: una vignetta il giovine, di nove o dieci pertiche, salvo il vero, ma trasandata affatto: bisogna far conto del terreno, nient'altro; di più una casuccia lui, e un'altra la sposa: due topaie, veda. Un signore come vossignoria non può sapere come la vada per i poveri, quando voglion disfarsi del loro. Finisce sempre a andare in bocca di qualche furbo, che forse sarà già un pezzo che fa all'amore a quelle quattro braccia di terra, e quando sa che l'altro ha bisogno di vendere, si ritira, fa lo svogliato; bisogna corrergli dietro, e dargliele per un pezzo di pane: specialmente poi in circostanze come queste. Il signor marchese ha già veduto dove vada a parare il mio discorso. La carità più fiorita che vossignoria illustrissima possa fare a questa gente, è di cavarli da quest'impiccio, comprando quel poco fatto loro. Io, ner dir la verità, do un parere interessato, perché verrei ad acquistare nella mia cura un compadrone come il signor marchese; ma vossignoria deciderà secondo che le parrà meglio: io ho parlato per ubbidienza.
Il marchese lodò molto il suggerimento; ringraziò don Abbondio, e lo pregò di voler esser arbitro del prezzo, e di fissarlo alto bene; e lo fece poi restar di sasso, col proporgli che s'andasse subito insieme a casa della sposa, dove sarebbe probabilmente anche lo sposo.
Per la strada, don Abbondio, tutto gongolante, come vi potete immaginare, ne pensò e ne disse un'altra. - Giacché vossignoria illustrissima è tanto inclinato a far del bene a questa gente, ci sarebbe un altro servizio da render loro. Il giovine ha addosso una cattura, una specie di bando, per qualche scappatuccia che ha fatta in Milano, due anni sono, quel giorno del gran fracasso, dove s'è trovato impicciato, senza malizia, da ignorante, come un topo nella trappola: nulla di serio, veda: ragazzate, scapataggini: di far del male veramente, non è capace: e io posso dirlo, che l'ho battezzato, e l'ho veduto venir su: e poi, se vossignoria vuol prendersi il divertimento di sentir questa povera gente ragionar su alla carlona, potrà fargli raccontar la storia a lui, e sentirà. Ora, trattandosi di cose vecchie, nessuno gli dà fastidio; e, come le ho detto, lui pensa d'andarsene fuor di stato; ma, col tempo, o tornando qui, o altro, non si sa mai, lei m'insegna che è sempre meglio non esser su que' libri. Il signor marchese, in Milano, conta, come è giusto, e per quel gran cavaliere, e per quel grand'uomo che è... No, no, mi lasci dire; ché la verità vuole avere il suo luogo. Una raccomandazione, una parolina d'un par suo, è più del bisogno per ottenere una buona assolutoria.
- Non c'è impegni forti contro codesto giovine?
- No, no; non crederei. Gli hanno fatto fuoco addosso nel primo momento; ma ora credo che non ci sia più altro che la semplice formalità.
- Essendo così, la cosa sarà facile; e la prendo volentieri sopra di me
- E poi non vorrà che si dica che è un grand'uomo. Lo dico, e lo voglio dire; a suo dispetto, lo voglio dire. E anche se io stessi zitto, già non servirebbe a nulla, perché parlan tutti; e vox populi, vox Dei.
Trovarono appunto le tre donne e Renzo. Come questi rimanessero, lo lascio considerare a voi: io credo che anche quelle nude e ruvide pareti, e l'impannate, e i panchetti, e le stoviglie si maravigliassero di ricever tra loro una visita così straordinaria. Avviò lui la conversazione, parlando del cardinale e dell'altre cose, con aperta cordialità, e insieme con delicati riguardi. Passò poi a far la proposta per cui era venuto. Don Abbondio, pregato da lui di fissare il prezzo, si fece avanti; e, dopo un po' di cerimonie e di scuse, e che non era sua farina, e che non potrebbe altro che andare a tastoni, e che parlava per ubbidienza, e che si rimetteva, proferì, a parer suo, uno sproposito. Il compratore disse che, per la parte sua, era contentissimo, e, come se avesse franteso, ripeté il doppio; non volle sentir rettificazioni, e troncò e concluse ogni discorso invitando la compagnia a desinare per il giorno dopo le nozze, al suo palazzo, dove si farebbe l'istrumento in regola.
" Ah! - diceva poi tra sé don Abbondio, tornato a casa: - se la peste facesse sempre e per tutto le cose in questa maniera, sarebbe proprio peccato il dirne male: quasi quasi ce ne vorrebbe una, ogni generazione; e si potrebbe stare a patti d'averla; ma guarire, ve' ".
Venne la dispensa, venne l'assolutoria, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella chiesa, dove, proprio per bocca di don Abbondio, furono sposi. Un altro trionfo, e ben più singolare, fu l'andare a quel palazzotto; e vi lascio pensare che cose dovessero passar loro per la mente, in far quella salita, all'entrare in quella porta; e che discorsi dovessero fare, ognuno secondo il suo naturale. Accennerò soltanto che, in mezzo all'allegria, ora l'uno, ora l'altro motivò più d'una volta, che, per compir la festa, ci mancava il povero padre Cristoforo. - Ma per lui, - dicevan poi, - sta meglio di noi sicuramente.
Il marchese fece loro una gran festa, li condusse in un bel tinello, mise a tavola gli sposi, con Agnese e con la mercantessa; e prima di ritirarsi a pranzare altrove con don Abbondio, volle star lì un poco a far compagnia agl'invitati, e aiutò anzi a servirli. A nessuno verrà, spero, in testa di dire che sarebbe stata cosa più semplice fare addirittura una tavola sola. Ve l'ho dato per un brav'uomo, ma non per un originale, come si direbbe ora; v'ho detto ch'era umile, non già che fosse un portento d'umiltà. N'aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari.
Dopo i due pranzi, fu steso il contratto per mano d'un dottore, il quale non fu l'Azzecca-garbugli. Questo, voglio dire la sua spoglia, era ed è tuttavia a Canterelli. E per chi non è di quelle parti, capisco anch'io che qui ci vuole una spiegazione.
Sopra Lecco forse un mezzo miglio, e quasi sul fianco dell'altro paese chiamato Castello, c'è un luogo detto Canterelli, dove s'incrocian due strade; e da una parte del crocicchio, si vede un rialto, come un poggetto artificiale, con una croce in cima; il quale non è altro che un gran mucchio di morti in quel contagio. La tradizione, per dir la verità, dice semplicemente i morti del contagio; ma dev'esser quello senz'altro, che fu l'ultimo, e il più micidiale di cui rimanga memoria. E sapete che le tradizioni, chi non le aiuta, da sé dicon sempre troppo poco.
Nel ritorno non ci fu altro inconveniente, se non che Renzo era un po' incomodato dal peso de' quattrini che portava via. Ma l'uomo, come sapete, aveva fatto ben altre vite. Non parlo del lavoro della mente, che non era piccolo, a pensare alla miglior maniera di farli fruttare. A vedere i progetti che passavan per quella mente, le riflessioni, l'immaginazioni; a sentire i pro e i contro, per l'agricoltura e per l'industria, era come se ci si fossero incontrate due accademie del secolo passato. E per lui l'impiccio era ben più reale; perché, essendo un uomo solo, non gli si poteva dire: che bisogno c'è di scegliere? l'uno e l'altro, alla buon'ora; ché i mezzi, in sostanza, sono i medesimi; e son due cose come le gambe, che due vanno meglio d'una sola.
Dostları ilə paylaş: |